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Il logo di Clochard Corporation e di Clochard Games (librogioco, gioco da tavolo e gioco di ruolo GDR), Clochard Music (colonna sonora e canzoni), Clochard Entertainment (video divertenti e web series). È di Simone Memmo, l'autore di short film, RPG, romanzi e musica. Egli scrive i migliori libri di fantascienza italiani, ed ha creato giochi da tavolo italiani, giochi di ruolo italiani e un librogame italiano disponibile in download PDF ITA (Il Viandante Cosmico). Tra i librigiochi, BG, pen & paper in solitario o multigiocatore co-op, il sito comprende anche blog, forum e bibliografia con le opere. Dal negozio, o store, si può comprare e scaricare gratis. È tra i siti più belli del mondo, avendo un'atmosfera spaziale, chill, ma dal mood lovecraftiano (simile allo scrittore HP Lovecraft per i mostri e criptidi). Nei racconti, i generi possono scostarsi in: uncanny valley, spazio liminale, subliminale, surreale, psicologico, filosofico, fantascienza, horror, giallo, drammatico, road trip
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Byte-Kid & Sho Time

Byte-Kid ha capito tutto dalla vita. Questo robot dai toni cinici e sagaci ha il forte desiderio di hackerare il sistema pensionistico della Galassia di Phaneron e vivere per sempre di rendita. Malgrado la premessa sciocca, tale racconto è un "road trip" sotto mentite spoglie, una ricerca non solo rivolta al futuro di Byte ma anche al suo passato. Il demenziale si fonde così ad una filosofia cupa, alla riflessione sul senso della vita robotica ed organica... Ma si tratta meramente di un sottotono.
 
A dominare è il botta e risposta fra lui e il compagno di viaggi Sho Time, che insieme si ficcheranno in situazioni assurde, per un numero di volte altrettanto assurdo...
 
Forse era meglio se andava a lavorare.

Alla ricerca della pensione perduta

Questa illustrazione è la cover art o immagine di copertina di Byte-Kid & Sho Time alla Ricerca della Pensione Perduta, uno spin-off / prequel de Il Viandante Cosmico (il primo vero ibrido tra librogame, gioco da tavolo e gioco di ruolo). In quest'avventura irriverente e dissacrante, all'insegna del demenziale e dell'umorismo nero, un robot di nome Bytekid incontra un alieno chiamato Sho Time e i due si ritroveranno in una missione per guadagnare soldi nello spazio senza lavorare. Tuffati nella galassia di Phaneron nella prima vera space comedy / space opera del mondo. Questo è uno dei libri più divertenti mai scritti in Italia, grazie ad alieni carismatici come Nablag e Vilispati, inseguimenti tra astronavi, gare di insulti e tanta, tanta censura.

• Progressi del Progetto                                         ▰▰▰▰▰▰▰▰▱▱ 80%

☑ Scrittura del libro parzialmente completata.

☐ Editing e proofreading eseguiti, ma si può migliorare.

☐ Non sarà pubblicato finché Il Viandante Cosmico non raggiungerà lo stato di progressione del 90% o più. Iscriviti alla newsletter per gli aggiornamenti.

Ero atterrato su una radura brulla ai piedi di un’immane foresta, quando pestai il ricordino biologico di un animale [ censura ]. Mi preparai dunque a rispolverare il mio idioletto offensivo, ma cosa uscì fuori fu solo una lunga sequela di censure, articolate da una voce ascetica ed onnicomprensiva. “Mannaggia al [ censura ] e a quel [ censura ] [ censura ] maledetto, che possa farsi venire in [ censura ].” Coprii i tratti della mia bocca luminosa e meditai: “Ma cosa mi succede?” Per la prima volta nella vita, provavo qualcosa di simile al terrore. Chi si era azzardato a negare il mio sacrosanto diritto di ignobiltà verbale?!

 

Feci un giro per la valle e mi addentrai nella giungla con quel chiodo fisso. I tronchi a spirale digradarono in rovi, e infine in sacchetti d’immondizia, quand’ecco che raggiunsi uno dei villaggi sommersi dalla vegetazione. Un numero gremito di Vilispati oscillava grazie alle liane penzolanti dai rami, mentre degli altri, se ne stavano rasoterra conducendo le loro vite insulsamente esauribili. C’era chi vendeva e chi comperava dai barroccini, così come quelli che non disdegnavano prodigarsi nell’arte del cicaleccio e lo spreco di tempo. Purtroppo, l’avrei dovuto fare anch’io se volevo procacciarmi informazioni. Il brutto figuro disteso su un’amaca di viticci sembrò fare al caso mio, e lo approcciai. “ ‘Giorno. Hai visto un Nablag da queste parti?” Egli continuò a fumarsi la pipa e non mi guardò manco a pagarlo. “Parlo con te.” Al che, finalmente rintuzzò qualcosa. Ma lo fece con un tono salmodiante che chiaramente non gli apparteneva: “[ Censura ]”. “Allora non stavo impazzendo! Ma chi è che si permette di oscurarci?” Egli indicò in alto. “Dio... ?!” “No, sciocco...” Rimbeccò lui, “Dio non è che un cavillo escogitato da un popolo per salvaguardare le tradizioni del popolo stesso. Mi riferisco all’atmosfera.” “Boiate. Come può una composizione atmosferica alterare il linguaggio sociale? Non ha alcun senso.” “Un senso ce l’ha eccome, [ censura ]. Si chiama Telecinetica Omissiva ed è uno speciale intruglio gassoso dagli attributi psionici e, francamente, [ censura ]. La Grande Imperatrice di Vlera indice autonomamente questa sabotazione di ciò che ci rende Vilispati, ovvero la facoltà di dimostrare affetto mediante l’insulto, a cadenza annuale. Secondo lei ci aiuta a rimembrare l’epoca buia dove regnò il proibizionismo, ma... Se proprio devo dirla tutta...” “Lasciami indovinare: censura?” “No, avrei voluto dire che è un po’ démodé, e almeno su questo, mi trovo d’accordo coi giovani d’oggi. Molti di loro scendono nelle piazze a protestare, e forse forse, dovrei farlo anch’io.” “Prima che tu vada, potresti rispondere alla domanda?” “Quale domanda?” “Il Nablag...” “Mi sembra di averti già risposto.” “Temo che ti abbiano oscurato... Potresti ripetere con degli altri termini?” “No. Censura era esattamente quello che avrei detto in ogni caso. Il termine gira bene sul palato come il sudore sulla faccia di uno Zorkut; anche se non so cosa significhi. Quello che manda su di giri la mia fotosintesi è piuttosto il vocione che parte chissà da dove e mi interrompe quando sono a fare baldoria con mia moglie. Ecco: questo mi dà fastidio... Quindi, se adesso vuoi scusarmi, ho una protesta da fomentare.”

 

Si lasciò dietro un nugolo fumoso e partì verso le vie della ragione. Io, al contrario, mi imbarcai in una peripezia di collera, a tratti irrazionale, con la missione di prendere a calci nel... A calci nei glutei, un... Un alieno buono a nulla. Diedi il via alle indagini chiedendo a destra e a manca se qualcuno sapesse qualcosa, ma la ricerca si rivelò presto infruttuosa. Il fatto è che stavo collezionando un prolifico repertorio di censure da parte dei tizi di turno, e zero indicazioni. Nessuno mi fu d’aiuto. Forse avevo sbagliato villaggio... In procinto di indietreggiare, pestai un oggetto di metallo coperto dalla sabbia. Una targa. E non una qualunque; era di una Trans Am... La mia. “E va bene carissimi amici...” Mi voltai di scatto, assicurandomi che tutti mi stessero bene a sentire: “Forse vi sarà sfuggito, non per malizia ma perché siete individui diligenti ed impegnati...” Le loro facce si macchiarono di disgusto. Nel frattempo, io continuai a sciorinare: “So che siete una comunità di arbusti amorevoli e premurosi di aiutare il prossimo, ed è in virtù di questo se mi appello a tale bontà d’animo per cercare una soluzione al mio dilemma di natura egoistica... Non incolpo nessuno di voi quando affermo che sono stato erroneamente mancato di rispetto - dico erroneamente perché costui, non sa con chi ha a che fare. Sospetto, tuttavia, e ancora una volta senza malizia, che stiate coprendo quel qualcuno. Quindi vi chiedo per favore di aiutarmi; so che la generosità è parte integrante del vostro essere...”

 

I Vilispati erano in gran subbuglio. Totalmente devastati, e se i loro timpani avessero potuto sanguinare, l’avrebbero fatto a fiotti. Chi stramazzava al suolo disperato, chi languiva all’atrocità appena testimoniata, chi urtava la testa sui tronchi nella magra convinzione di poter scacciare così il delirio del sopruso: erano tutti spettatori della propria disfatta, qualsivoglia fosse. Era un pelino più diretta per coloro che caddero dalle liane, ma dolorosa in ogni caso. “Si è... Si è permesso pure di dire ‘per favore’...” “Non statelo a sentire! Vuole ammazzarci!” “Che monologo da brivido...” “AAAAAH!” Erano pressappoco queste le frasi concomitanti di quei pochi sopravvissuti alla follia... Non era da tutti i giorni assistere ad un’esecuzione pubblica di tale portata, e una di loro ne era così contraria da indicarmi la via. Le tremavano le foglie, come se la mia lingua acuminata, fosse un mitra: “Da... Da questa parte.” “Non farlo, Clorofelia!” Stepitò il padre steso a terra, reggendo l’anima con i denti: “Non dirgli dov’è l’Oracolo!” “Devo farlo! Devo farlo, devo farlo, devo farlo...” Le venne una crisi isterica, ma la presi per mano ed ella cadde istantaneamente in un trance. Si trattò di uno stato mentale utile, perché mi guidò su per delle scale, a scapito del gran malcontento dei coloni. Poi una volta in cima si pietrificarono lei come le sue emozioni. Io ero bello carico. Lo ero perché davanti a me vi era la Trans Am. La mia bella, bella Starbird Trans Am...

 

CON IL PARAURTI AMMACCATO! SENZA UNO SPECCHIETTO! E I FINESTRINI ROTTI, E TUTTO L’OLIO CHE PERDEVA!

 

“Ma che [censura]! [Censura], [censura] [censura] [censura] [censura], [censura] [censura] [censura] [censura] [censura] [censura] e [censura]!” “Whoa... Chi si permette di svegliare l’Oracolo con tutti questi censimenti? Cioè, non è semplicemente da maleducati, è anche un sacrilegio. Capito come?” Alzai l’occhio dal fondo della marmitta che stavo ispezionando alla ricerca di danni, ritrovandomi il verme in accappatoio a torreggiare sopra di me... Attivai quindi l’estensibilità degli arti inferiori, e mi feci alto quanto lui per afferrarlo dal bavero. L’altra mano si stava muovendo da sola, in preparazione di un pugno. “Apri bene la bocca..." “Robob, sei tu!” Egli increspò quel suo distintivo sorriso sdentato, a forma di cavità rettale: “È così bello rivederti! Ti ho tenuto in caldo i sedili, riesci a sentirli?” Adagiò la mano su uno, e l'accarezzò. Appresso, pizzicò un 4R Bre’s Magique al mentolo, appeso sul tettuccio: “Ti ho anche preso un deodorododorante, hai visto?!” “Non sento gli odori. Ma tu, sentirai presto quello del tuo sangue. Apri la bocca ti ho detto!” A quel punto aveva appena capito di non scherzare con me. Serrò le palpebre in attesa di vedere le stelle, ma io... Io non ce la facevo. Non potevo rimodernizzarlo in volto a suon di pugni, se in quel momento scoprii che uno dei suoi bracci, era robotizzato. “Quella modifica?” Farfugliai, ed egli dischiuse un occhio. “Ah, questa?” Sicché li aprì entrambi, e potevo notarli madidi per la commozione dovuta ad un suo ricordo: “Me la son fatta fare quand’ero piccolo. Giusto dopo che papà mi aveva detto di raccogliere l’anello caduto nel compattatore di trucioli... Capito in che senso? Si era scordato di dirmi che era acceso, allora ci ho rimesso un braccio... Fortuna che non era il braccio dominante, [censura].” Time si aggrottò, e prese a scrutare i cieli: “Oh... Cavolo non è una parolaccia.” “Ah sì? Scusami.” La voce della sanzione divina colmò l’aria: “Tutti possono commettere degli errori. Se mi date solo un minutino sospendo le restrizioni orali, così che io possa sistemare il disguido tecnico.” Seguì un suono di rimbombo distante, poi sentii che dentro di me qualcosa era cambiato... Riguardai Sho: “Brutto diplomato in idiozia, masticatore di sterchi a tradimento, ultimo dei parassiti; non sei scemo e basta, sei anche il re dei creduloni; la mano dentro un trituratore? E te lo devono dire se è acceso o spento? Solo un fesso della tua portata poteva essere capace di tanto; ma d’altronde, sei lo stesso che s’è messo a giocare col robot sbagliato, quindi, perché dovrei stupirmi?! Sei un grosso, grasso, [ censura ].” “Fatto. Buon proseguimento di giornata.” “Avevo appena iniziato!” Emisi un brontolio di disappunto e tolsi la mano dal colletto di Sho. “Adesso tu rimetti tutto com’era prima - e nel frattempo mi dici quale castroneria ti sei inventato per far credere a questa gente che sei un profeta. Sono proprio curioso... Ma che dico; li avrai senz’altro drogati.” “Oh no, no no.” Si cavò dalle tasche il nastro adesivo e la colla, e mentre si dava da fare mi raccontò ogni cosa: “Inizialmente, sì, avrei voluto intossicarli per proteggere la mia incolubilità... Però non ce n’è stato bisogno. La loro eccitazione non era omicida, ma di stupore! Cioè, mi adoravano! Adoravano me e soprattutto l’astronave che non avevano mai visto; un po’ come quando io adoravo il nonno e il pane che sfornava quando meno me l’aspettavo. Mi stai dietro?” “Purtroppo ti ho capito, per una volta. Mi stai dicendo che oltre al danno mi sono preso la beffa, e ti sei messo a vestire i panni di dio GRAZIE ALLA MIA MACCHINA... LA MACCHINA CHE MI HAI SFASCIATO, PER L’ESATTEZZA.” “Bingo! Ci hai azzeccato in pieno, tu sì che sei... Proprio... Intelligente...” Le manfrine si rimpicciolirono perché la mia ombra giganteggiava su di lui. Potevano togliermi la parola, ma non le mani... E con queste mani, io l’avrei mischiato come un puzzle!

 

“Wow. Avevi ragione... Mi sa che ora riesco a vederle, le stelle.” “Ed ora metti tutto a posto.” Tali furono le mie ultime parole prima che calò la sera... Me ne stavo seduto sul cappello di un grosso fungo, a osservarlo intanto che rattoppava i vetri con lo scotch e il resto con colla e saliva. Non avevo più le forze di redarguire nessuno. Volevo solo che si spicciasse e poi me ne sarei andato senza di lui. “Al diavolo. Troverò Nyval 6 da solo.” Mi son detto. Poi di notte, capitò un qualcosa che tardò la mia partenza: fiaccole e forconi. “Oracolo un corno!” Blaterò il leader dei buzzurri, “Un portatore di conoscenza non sarebbe mai stato seguito da un araldo di sciagure! È scritto nella profezia!” “Quale profezia?” Gli domandai, alzandomi in piedi. Lui tirò fuori chissà da dove un incunabolo polveroso: “Qui, a pagina due, versetto dieci.” Si mise gli occhiali e si fece pacato. Lasciò che mi avvicinassi per farmi leggere, dunque proseguì: “Un portatore di conoscenza non verrebbe mai seguito da un araldo di sciagure... Testuali parole. Non le ho inventate di sana pianta.” Alzai un ciglio luminoso: “Sì, ma che edizione è?” Lui voltò la copertina, e disse: “Edizione del ‘96 d.C.; che sarebbe novantasei anni Dopo la Cremazione di massa del popolo Inamu che ci ha preceduto, e a cui abbiamo donato l’ossigeno affinché si trasformassero in pacciame per noialtri. È una versione redatta da Fiore Canfora, perciò è accreditata come la migliore... Egli era un autore modello.” “Sarà anche un autore modello, ma questo è un falso. Guarda: non la senti la grammatura? E la qualità dell’inchiostro? Sono anacronistici se messi a confronto delle tecniche di stampa di quell’epoca.” “Dici sul serio?!” “Sì, eh. Guarda. Strofina la carta.” Glielo feci fare, e lui cadde subito nel tranello. Non ne sapevo un’acca della cronistoria Vilispate, ma ciò che conoscevo, era la raggirabilità imperitura delle specie organiche... A riprova del fatto, si misero tutti a tastare le pagine, come fingendosi dei cultori forbiti, e senza minimamente realizzare che in realtà erano suonati come le campane. “Oh, Rosetta. Lo percepisci anche tu? Pare che l’araldo di sciagure abbia ragione.” Se ne uscì uno, e la Vilispate femmina rispose: “Lo percepisco. Lo percepisco eccome... Più lo faccio e più è evidente.” “Prospero; e tu lo percepisci?” “Non posso, non ho le mani.” “Sì ma percepisci che noi stiamo percependo qualcosa di molto significativo per la nostra storia?” “Sì sì, quello lo percepisco.” Il chiacchiericcio continuò per sei o sette minuti buoni, poi il capo tanghero richiuse veemente il libro e si tolse gli occhiali: “Signori... ! Voi dimenticate un elemento lampante!! Può anche darsi che la nostra storia debba essere riscritta, e su questo, siamo d’accordo... Ma il nostro villaggio continua a farsi profanare innanzi ai nostri occhi, e noi stiamo qui a cincischiare sul peso della carta e sullo sputo di un calamaro, se questi venissero usati o meno all’epoca. È ridicolo, è oltraggioso; è una perdita di tempo! Dobbiamo appendere gli eretici a testa all’ingiù, dico io!” “Sìììììììììììì! Evvai!” Ecco che con gran clamore si rifecero burberi dal primo all’ultimo. La mia proposta di seppellire l’ascia di guerra col caro vecchio dio denaro non funzionò, così venimmo condotti su di un’imbarcazione rudimentale. In tutto, ne eravamo in cinque: io, Sho, il pilota e due sgherri che ci carezzavano le guance con le forche. Insieme salpammo oltre la battigia: alle nostre spalle, il promontorio selvoso della giungla si fece presto puntino distante. Noi stessi eravamo una briciola minuta, se rapportati al drappo funebre dell’oceano notturno. Le sue acque nere insondabili riflettevano i fuochi fatui e le sei lune di Vlera, e di tanto in tanto, la marea ci esibiva anche qualche scoglio. Ma i veri scoglionati in questa storia, eravamo noi due: i nostri visi specchiati sui flutti, da cui trasparivano emozioni di tedio, odio, sodio. Non mi sbaglio. La salsedine divenne tutt’uno coi miei circuiti, quasi a formulare un nuovo stato d’essere. Se uno poteva scuotermi, ci avrebbe condito il riso; mentre ideavo freddure che non facevano ridere, il timoniere interruppe il mio flusso: “Non avete idea in che guaio vi siete cacciati... Conoscerete presto una sofferenza che non ha limiti, nel loculo più inespugnabile di tutti i tempi... Una stamberga su palafitte, contornata da fameliche bestie abissali, in un anello di rocce appuntite, sopra le quali staziona dell’artiglieria pesante di prim’ordine! E come se non bastasse, IO vi terrò d’occhio trentaquattro ore su trentaquattro.”

 

La testa di legno si abbandonò ad una lunghissima risata luciferina, ma si rifece serio per dirci che eravamo giunti alla meta. Comunque, non vidi rocce appuntite. Uno dei contadini spiegò il fatto malsicuro: “L’Imperatrice Cuordifango ci ha ordinato di toglierle. Dice che non facevano bene al turismo. Idem le torrette.” “Mi prendete in giro? Questo è un sito storico di tortura! Oltretutto, è più antico, di Petalia Cuordifango!” Sho fermò il tizio: “Wow, amico! Petalia? Davvero è coperta di petali?” “No, soffre solo di una rara malattia gastrointestinale; e comunque!” Ritornò ad inveire contro i suoi sottoposti, “Cosa mi dite delle bestiole? Anche loro sparite per il benedetto turismo?!” “Ah, loro...” L’altro scagnozzo ruotò l’addome per guardarsi dietro, e poi rivenne: “Loro non sono spariti a causa del turismo... Capitan Barbafrutta, temo che lei li abbia tranciati tutti quanti con le eliche, un’altra volta.” Il capitano rimase a bocca aperta. La richiuse un poco non appena sbirciò la scia di sangue che tracciava il percorso dell’idroscivolante. “E...” Disse sbalordito. Quello di prima lo intercettò: “E la casupola su palafitte non è più su palafitte. È diventata una casa di riposo per anziani, che possono godersi qui la pace e la tranquillità dei loro ultimi giorni.” “Ma almeno ce l’hanno una stanza per fare le torture?!” “Ciascuna stanza è una stanza di torture, Signore... E noi abbiamo ancora il permesso di entrare.” I tre Vilispati tacquero e finirono di navigare il tratto d’acqua rimanente.

 

Dal pontile in avanti ci scortarono con forte disprezzo, finché non ci lasciarono soli, rinchiusi in una sala matrimoniale con vista mare e servizio in camera gratuito. Era stucchevole, ed offensivamente disgustoso... Dovevo evadere. “Sho! Fingi di star male. Grida a più non posso!” Lui smise di saltare sul letto come da buon moccioso, ricambiando il mio sguardo appuntito con uno incerto: “E come? Non sono un bravo attore...” “Ho capito. Allora dovremo evitare di fingere.” In modo del tutto inaspettato, l’ostello traboccò di strillate e gemiti di dolore. Barbafrutta si precipitò in camera, e notò un unico prigioniero lisciarsi la spalla arrossata. “Dov’è quell'altro?” Uscii dalla penombra, e gli strinsi il gomito. “È dietro di me, vero?” Sho Time annuì, e l’attimo dopo, al capitano gli si raggelò la clorofilla: “Tu... Stai commettendo un grosso errore, lo sai?” “Non voglio farti del male...” Lo tranquillizzai, muovendogli il braccio per farlo girare. Cosa vide dopo, furono le mie labbra rifulgenti, e intonanti  le parole: “Tu... Sei una brava pianta.” “No... No, ma che fai?!” “Ti voglio bene, come tu vuoi bene a me.” “No, basta!” “Sei un alberello dai sani principi.” “Smettila!” “Meriti le mie coccole, e i miei complimenti.” “Lasciami stare!” “Se l’amore che provo per te lo si potesse contare dal numero di stelle nell’universo, queste non ammonterebbero allo zero virgola uno percento del mio affetto.” Fu il colpo di grazia... Egli perse la voglia di vivere, se solo per qualche minuto, e si accasciò a terra con il volto livido e smarrito. Se fossi riuscito a lasciare Vlera, la prima cosa che avrei fatto sarebbe stato lavarmi la lingua con la candeggina. Neanche mia madre vide una simile sfilza di lusinghe da parte mia, in tutta la sua vita. Il bello è che non avevo ancora finito.

 

Ve n’erano altri da dover sistemare... Corremmo tra i corridoi alabastrini, e uno ad uno mi misi a stendere chi intralciava la fuga: “Tu da grande meriti di essere qualcuno.” Ed ecco che cadde come una spiga innanzi alla falce. “Non hai bisogno di nessuna permanente: pelato stai benissimo.” Così ne venne mietuto un altro. Non avevano il baluardo dell’insulto per potersi difendere, e di questo ne approfittai. Oh, eccome se ne approfittai... Feci piazza pulita. E fu allora che capii come mai esiste il proverbio della parola che ferisce più di una spada; con l’aiuto di quella, della tagliente e fatale gentilezza, misi in ginocchio pure quel tale intento a sorvegliare l’idroscivolante. “Tu non puoi farmi questo! Ti scongiuro... Io, io... Ho moglie e figli. E una suocera... Ora che ci penso, dammi tutto l’amore che vuoi.” “Fatti da parte.” “No! Amami, ti prego!” “Fatti da parte ti ho detto.” “Io non mi muovo.” Si radicò ai miei piedi, e dovetti innaffiarlo. Ora che si faceva un bagnetto in mare, io e Sho Time tornammo al villaggio tramite la barca, ed una volta là, ripercorremmo i nostri passi in cima alla collina. La Trans Am c’era ancora, seppure dentro una fossa che alcuni Vilispati riempivano di terra. Ne parlai con il caposquadra che li dirigeva: “Si può sapere cosa diavolo state facendo?” Lui continuò a scribacchiare sul suo taccuino, ma mi rivolse la parola: “E che non lo vedi?! Stiamo seppellendo una parte di noi, della nostra storia. Quella reale. I popoli di Vlera non sono pronti per conoscere la verità, secondo la Cuordifango... È meglio credere nelle menzogne, se esse convalidano la cultura, e le leggi. Così ha deciso, e noi ci limitiamo a rispettare il suo volere.” “La Trans Am non fa parte né di voi né della vostra barbaria atavica. È mia.” “Sì, ed io sono un tostapane.” “Preparati ad installarne uno in quella tua testa bacata allora, perché posso provarlo.” Posai in quelle sue manacce nocchierute la licenza del veicolo, e lui la strappò in mille pezzi. Tentai di unirli; nel mentre, mi scaldavo: “Cos’hai lo sputo nel cervello? Ma che t’è preso?” “Quella contumelia in forma cartacea vale meno dei tergicristalli in un sottomarino... È stata forgiata sul cadavere di un nostro simile, perciò non ha alcun valore intrinseco, per noi...” “Per voi, ma per me sì!” “Sei un noioso disco rotto. Lasciaci lavorare, hm?” Avrei tanto, tanto voluto sotterrarlo di elogi... Ma i contadini del piano di sotto erano tornati più astiosi di prima. Spinsi il Nablag dalla parte loro, come diversivo, e mi fiondai sullo Starbird nella speranza di squagliarmela. La porta non si apriva. L’avevano chiusa? Come poteva essere? Le chiavi le avevo io! Clack, e clack, e ri-clack...

 

Non importa quante volte tiravo la maniglia: non si apriva. Non si apriva, maledizione! Una calca di zappatori e tappabuche mi stava raggiungendo e non appena li vidi così infervorati, così vogliosi di dissezionarmi e nascondere il manuale delle istruzioni per ricompormi, allora capii. Lo si leggeva in quei loro occhi ambrati... non stavano osservando me, ma il bruto alle mie spalle, che dall’alto teneva chiusa la porta con il suo manone. Il mucido, malfatto energumeno, mi sbavava resina sopra l’elmo; e io proprio non ci stavo... Avrei dovuto insegnargli le buone maniere! Detto fatto: gli assestai una gomitata all’inguine che aveva del paralizzante. Nell’aria potevi proprio sentire che il tempo si stesse fermando a causa del mio vigore. Se lì con me ci fosse stato il re dei pugili, Rocky Marciano, avrei messo strizza anche a lui; non scherzo: quel giorno il povero diavolo credeva di potermi soverchiare, invece si beccò 800 joule di duro acciaio nelle palle. Ci scommetto la testa di Sho che il gradasso perse anche il potenziale di riprodurre quel suo codice genetico insignificante. Si portò il palmo là sotto per il dolore, e mi diede dei nanosecondi per spalancare la portiera e tuffarmi dentro. La richiusi nel medesimo istante in cui molte dita, di molta gente, penetrarono per impedire il mio trionfo; inutile constatare l’inutilità del gesto. Visualizza in mente una ghirlanda di piantacce assassine a pendermi dalla nave, ed un bailamme di loro che se ne stava sotto a prendere fuoco per colpa dei propulsori in accensione. Non tardai a spiccare il volo, insomma, sghignazzando di tutte quelle radici che mi si contorcevano di fianco, e i rispettivi proprietari che scivolavano uno ad uno per poi fare un tonfo in mare. Cadde l’ultimo, maledicendomi: era un suono infinitamente orecchiabile, che si giustapponeva all’alba dai colori a pastello che irradiava le onde in basso. Era un bel suono, proprio un bel suono; come pure il rombo del motore che finalmente riuscivo a riascoltare. Ma, di gran lunga più dolce, era l’assenza stessa del suono: specificatamente, la voce del narcotrafficante senza fegato e senza dignità... Sho Time.

 

Oh com’era liberatorio, lasciarlo indietro a crepare e a farsi concime per le piante...

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Lettura consigliata su PC desktop o laptop.

La pagina non è definitiva. Possono presentarsi degli errori, scarsa leggibilità o discrepanze che non riflettono l'attuale stato del libro.

Questa illustrazione ritrae uno scheletro frondoso, su cui crescono fiori e foglie, un po' come un albero fatto di ossa, scheletrico e quasi poetico. In realtà però, è un disegno per un'opera che è tutt'altro che poesia: Byte-Kid & Sho Time alla Ricerca della Pensione Perduta, una space comedy demenziale che rincara sempre la dose con la sua commedia nera e filosofia di vita da robot

(Continua sul libro "Byte-Kid & Sho Time alla Ricerca della Pensione Perduta")

Contesto: Dopo essersi fidato di Sho per cercare insieme il pianeta Nyval Six, Byte-Kid venne incarcerato. Quando Sho perse il controllo ed impazzì, infatti, si trovò per circostanza a rubare la nave di Byte: una sfavillante Starbird Trans Am. Guai a chi gliela tocca: lo stesso robottino si mise in sella ad una volante della cosmopolizia nel tentativo di inseguirlo, ma, come già detto, a lui non andò troppo bene... Bramoso di vendetta ed evaso dal mondo carcercario di Fort Greedwell, Byte-Kid si mise sulle tracce di Sho, che se la spassava su Vlera: il mondo dei Vilispati. Questa specie botanica e floreale guerreggia a colpi di insulti... Kid però, non è uno sprovveduto.

Download PDF ITA e Libro Cartaceo in Italiano previsti il prima possibile.

Estratto

La Violenza Non È Mai La Risposta. È La Domanda, E La Risposta È Sì
Villaggio dei Vilispati, Pianeta Vlera, Galassia di Phaneron
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